Giovanni CESCA

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L'ACQUA VEDE

"Riflessi d'acque a Treviso" il ciclo dei pastelli encaustizzati di Giovanni Cesca

di Chiara Polita

 

 

 


Molteplici sono i modi di raccontare una Città, ma unica è la capacità dell'arte di riassumerla nell'emozione di un respiro, di un ricordo, di un colore; perché l'artista, come magica risorgiva, riporta alla luce ciò che assorbe e vede senza tempo che non sia quello dell'anima che nulla scarta e in cui nessun particolare è minore, ma è per sempre.


Così è nell'arte di Giovanni Cesca, nella quale memoria, affetti, suggestioni mitiche, forme evocative e colori scorrono in un unico intenso fiume a definire l'originale identità del pittore e la sua percezione del mondo circostante. Fluidità di pensiero e sensazioni in continuo movimento e discussione, dalla sorgente alla foce delle emozioni, aperte agli incontri con altre vene vitali d'uomini, di paesaggi e idee, identificano nell'Acqua uno degli elementi sicuramente più vicini all'artista per affinità elettiva.


Acqua come elemento ancestrale, misterioso, che porta la magia e il segreto della vita; acqua come corso incessante che scava e disseta la vita; acqua come tempo del silenzio e della memoria; acqua come specchio che assorbe e riflette la nostra stessa immagine e quanto ci circonda, raccontando ancora di noi.
Una città d'acqua come Treviso, ricca di mito e di storia, legata alle stesse radici affettive di Cesca, non poteva non rappresentare un suggestivo catalizzatore emotivo per questo pittore che à rebours racconta il suo ritorno ideale, rinfranto in molteplici storie d'acqua, narrate attraverso la poesia delle sue opere. Tra queste non c'è solo ciò che l'artista ama, ritrova, sente, respira, ma c'è anche ciò che la Città vede di se stessa e di noi attraverso le sue acque, come nell'originalissimo ciclo di pastelli encaustizzati “Riflessi d'acque a Treviso”.

Quasi come specchio magico Cesca interroga l'Acqua, antica Sibilla non più in una grotta, ma a cielo aperto, per scorgere cosa vede di noi e del mondo soprastante. Ne emergono riflessi, frammenti evocativi da interpretare, che già sono stato d'animo dell'artista o sono gli occhi screziati dell'acqua, camaleonti come la storia e la vita che assorbe e che racconta. E già nell'antico del resto i fiumi erano signori di metamorfosi.
Così i “Riflessi d'acque a Treviso” non hanno l'inconsistenza di un effimero velo liquido, ma impongono la concretezza di una materia che fa cogliere quei frammenti di percezione come lacerti di antichi affreschi in cui il colore si fa storia, si fa pensiero.

Antico e Astratto si incontrano nell'oracolo d'acque di Cesca, nella suggestione di sequenze modulari variamente assemblabili, come fotogrammi di un unico film, come ritagli colti dietro il mosaico di una finestra: l'acqua vede, sente e comunica scomponendo forme e colori, senza sosta, nelle varie ore del giorno e nelle stagioni, senza lasciarsi imbrigliare e fissare per sempre, così come la vita che scorre. E la parzialità della visione ravvicinata è scelta di profondità, per indagare quel particolare che può diventare totalità e chiave di volta dell'intuizione.


Blu profondo o quasi nero maculato da lucciole bianche, ricamata di filamenti violacei, rossa o verde, bianca lattiginosa, striata da forme primordiali, o poesia di tinte pastello, tra il rosa di carne, quasi a voler assumere volto umano, e l'azzurro del cielo: così l'acqua si racconta, ci racconta, ci attraversa e legge il nostro stesso animo per rifletterlo in frammenti di luce che solo apparentemente sembrano altro, astratto da noi.
E solo agli artisti, suoi prediletti profeti, concede il dono di lasciarsi fissare negli occhi, in quel colore che è suono fugace e istantaneo, che è musica che per sempre trasforma l'anima.


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